M.I.G. Musei In Grotta
Recupero delle "grotte" nel Monastero di Santa Caterina a Cupramontana
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Committente: Comune di Cupramontana
Progetto architettonico di restauro e D.L.: Arch. Giorgio Balestra
Progetto Impianti: Ing. Enrico Maria Germano
Illuminazione e allestimento :Arch. Camilla Borsoni
Impresa di costruzione: Impresa Torelli Dottori S.p.A.
progettazione: 2014
esecuzione lavori: 2014-2015
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Località: Cupramontana (AN)
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Nuovi spazi espositivi che accolgono IL MUSEO INTERNAZIONALE DELLE ETICHETTE, l'enoteca e l'ufficio turistico sono stati ritrovati attraverso il recupero delle grotte del monastero di Santa Caterina,. Un restauro attento e mirato alla salvaguardia del patrimonio esistente dove i dettagli denotano il rispetto per la storia e al tempo stesso lo stacco cronologico dell'intervento, dove un integrazione cromatica delle nuove presenze entrano in armonia con gli spazi.
Cupramontana "terra di vigne e di bollicine" può ora esporre e far degustare il suo Verdicchio in questo luogo "consacrato" al vino..
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Il Complesso del Monastero di Santa Caterina a Cupramontana occupa il comparto più pregevole del paese per l’esposizione e per il suggestivo panorama che ad occhio nudo permette di scoprire tutta la vallata del fiume Esino fino al mare Adriatico. Integrato all’interno delle mura del Castello, si hanno le prime informazioni attorno all'anno 1000 come monastero femminile benedettino di Santa Marta e Maddalena. Nel 1366 fu occupato dalle religiose del monastero benedettino si Santa Caterina e Margherita posto fuori il castello, unificando di fatto e di diritto i due monasteri. Successivamente il monastero preferì alla benedettina la regola francescana abbracciando quella delle Clarisse Conventuali e ristabilendo la clausura nel 1565. Ristrutturato nel 1581 inizia una periodo di grande fioritura, tanto che nel ‘700, si decide di costruire, davanti al precedente, un nuovo grandioso monastero con la splendida chiesa rotonda, con alta cupola poggiante su otto colonne corinzie, aperta nel 1751, opera dell’architetto Arcangelo Vici. Dell'attuale complesso edilizio, le "grotte", scavate nell'arenaria, rappresentavano gli scantinati, ambienti destinati allo stoccaggio e alla preparazione dei prodotti coltivati nel prospiciente orto concluso ricavato tra il complesso stesso e la cortina muraria facente parte dell’antica cinta. Nel tempo furono poi occupate da artigiani e cantinieri fino alla conversione in luogo di spumantizzazione e imbottigliamento del Verdicchio. A seguito dei danni riportati nel 1996 da una serie di eventi sismici, l’intero complesso del monastero di santa Caterina è stato oggetto di intervento di "ristrutturazione" in cui anche gli ambienti seminterrati hanno subito parziali integrazioni e modifiche incluso lo smantellamento delle pavimentazioni originarie per la realizzazione di opere di isolamento dal terreno.
Luogo religioso carico di significato per la popolazione locale e non solo, fu dichiarato di particolare interesse storico nel 2003 con decreto del Ministero per i Beni e le attività culturali e sottoposto quindi a tutte le disposizioni di tutela contenute nel D.Lvo. 490/1999.
Il progetto qui presentato offre occasione di riflessione e confronto sul tema del "riuso" nell'ambito di applicazione del restauro legato ai beni architettonici storici nati come luoghi estranei alle destinazioni d'uso che rispecchiano invece le volontà o le necessità della società contemporanea.
Alla base di tutto l'intervento, si è posto come obiettivo, il potenziamento del complesso MUSEO INTERNAZIONALE DELL'ETICHETTA-ENOTECA COMUNALE-COLLEZIONE LUIGI BARTOLINI di cui, a tutti gli effetti , gli spazi oggetto di intervento erano divenuti una importante appendice sia pur presentando carenze fondamentali che non garantivano la piena agibilità degli ambienti.
Con l'individuazione della destinazione d'uso, si risolveva così uno dei problemi fondamentali legati al "riuso" e si poteva procedere al progetto di restauro ponendolo come "mezzo" e non come fine ultimo dell'intervento.
In virtù della sua natura, il progetto ha mirato con successo all'ottenimento dei fondi erogati dal G.A.L. "Colli Esini" in attuazione dell'intervento Sottomisura 4.1.3.5 per gli interventi di ampliamento, potenziamento e valorizzazione di strutture museali-espositive esistenti (Misura 3.2.3 sub b2) raggiungendo il traguardo della fattibilità economica.
Volendo rispettare la realtà materiale e spirituale del monumento (e su questo l'entità delle somme a disposizione relativamente esigue in relazione ad una superficie complessiva di oltre 500mq è venuta in aiuto) , si è perseguita la filosofia del "MINIMO INTERVENTO" che puntasse al mantenimento e alla tutela conservativa del monumento stesso accantonando l'idea di una qualsiasi riconnotazione estetica.
Citando il concetto espresso da Renzo Piano secondo cui "non si è creativi soltanto disegnando nuove forme o strutture ma anche inventando soluzioni senza modificare l'esistente", si è cercato di operare nel totale rispetto dello stato dei luoghi, carico di tracce che lasciavano trapelare le innumerevoli modifiche subite nel corso dei secoli ed in cui, oltre alla lettura planimetrica di sovrapposizioni costruttive in epoche differenti, anche semplici porzioni di intonaco degradato e residui di colorito esistente erano e rimangono portatori di valori storico-documentali.
Il primo intervento è stato eseguito attraverso l'idrolavaggio a pressione controllata di tutti i paramenti murari e delle volte per poi passare alla chiusura delle piccole lacune e alla rimozione delle componenti estranee lasciando inalterata ogni traccia sopra descritta..
L'inserimento dei nuovi elementi strutturali necessari a rendere fruibili e funzionali gli spazi in rapporto alla nuova destinazione d'uso, segue la medesima filosofia proponendo soluzioni semplici limitando gli interventi ed operando nei limiti dello stretto necessario. Ecco allora che i pavimenti monolitici in calcestruzzo colorato in pasta si inseriscono all'interno della sequenza seriale degli ambienti lasciando uno spazio perimetrale, colmato con ghiaia, con la duplice funzione di denotare "rispetto" verso la preziosa preesistenza tenendosi a debita distanza e lasciando allo stesso tempo ampia libertà nella futura implementazione delle dotazioni tecnico-impiantistiche.
Infissi dal colore neutro si uniformano in facciata a quelli esistenti e si innestano all'interno degli importanti spessori murari semplicemente integrando le lacune e successivamente applicando velature a base di calce sulle parti estranee alla struttura originaria per adeguarne l'insieme.
Nuove bussole in vetro inserite in corrispondenza degli ingressi sono ancorate senza l'ausilio di profili strutturali e lasciano immutata, con la loro totale trasparenza, la percezione spaziale degli ambienti in cui sono state collocate. Altro aspetto importante su cui si sono basate le scelte progettuali nel recupero e riuso degli ambienti è stato il rispetto delle volumetrie, degli effetti spaziali che attraverso i pieni e i vuoti, le cavità luminose e oscure contribuiscono efficacemente alla ricostruzione mentale dell'immagine originale. Tali scelte poi di fatto non sono state pienamente sostenute dal successivo intervento di allestimento e illuminazione dove il taglio di luce continuo e orizzontale pensato per l'illuminazione diffusa, paradossalmente risulta essere una buona soluzione se spento ma, una volta acceso, modifica sostanzialmente la percezione degli ambienti separando visivamente le murature verticali dalle volte in mattoni originariamente concepite come unico elemento. Di maggiore pregio invece la scelta del sistema di illuminazione puntuale attraverso le "parentesi" Flos, che per loro natura poco invasiva sposano a pieno il principio del minimo intervento ed offrono analogie estetiche con ipotetiche lanterne o candele utilizzate in passato contribuendo a quell'immagine mentale di cui sopra, preziosa tanto quanto il corretto intervento sul bene materiale. Tutto ciò sostegno della teoria che il restauro, in quanto atto critico, non può dirsi concluso se non anche attraverso la restituzione delle condizioni psicologiche originarie.